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In un altro post di questo blog abbiamo parlato dei metodi più conosciuti per la “lavorazione” e la spumantizzazione dei vini bollicine, in particolare del Prosecco: il Classico o Champenoise e lo Charmat (Martinotti). Esiste però un metodo molto più antico, il primo in assoluto nella storia dedicato ai vini frizzanti, completamente naturale: il metodo ancestrale. Vediamo, pertanto, in cosa consiste il metodo ancestrale e che differenze ci sono rispetto al metodo Charmat e al metodo Classico. La caratteristica principale del metodo ancestrale è quello di non utilizzare alcuna sostanza estranea al vino e ai prodotti della terra, men che meno ritrovati chimici. Possiamo dire che si tratta di una via di mezzo rispetto agli altri due metodi, anche se forse si avvicina di più allo champenoise (o classico) rispetto ad uno Charmat/Martinotti. Vediamo allora nello specifico in cosa consiste il metodo ancestrale e qual è la sua storia.
Per prima cosa un vino fermentato con metodo ancestrale parte da una pressatura leggera delle uve, per consentire che i lieviti presenti naturalmente nelle bucce degli acini (“lieviti indigeni o autoctoni”) possano estendersi a tutto ciò che viene ricavato. Il mosto ottenuto, viene inserito in vasche di acciaio inox a temperature costantemente controllate, spesso molto basse. A questo punto la fermentazione viene gradualmente rallentata fino ad essere bloccata del tutto: lo stop viene deciso quando il vino raggiunge una certa quantità di zuccheri e lieviti, che garantiranno una ripresa di una fermentazione tutta naturale una volta trasferito il vino in bottiglia.
Una volta trasferito in bottiglia (di solito questo procedimento avviene con una temperatura piuttosto mite, intorno al mese di aprile) il vino riprende la sua naturale fermentazione, garantendo un giusto equilibrio di zuccheri e lieviti: avviene così la cosiddetta rifermentazione. Alla fine il vino può essere capovolto, etichettato e messo in commercio. Se lo si agita i lieviti rivivono e ritornano in sospensione. Per questo motivo il sapore di uno spumante metodo ancestrale risulta più complesso e corposo, e ricorda il pane, in special modo la sua crosta. Questi vini vengono definiti anche “col fondo”.
Le origini del metodo ancestrale in fermentazione, sembra risalgano a diversi secoli fa in Francia, addirittura prima dello Champagne. A voler essere pignoli potremmo ricondurre gli albori di questo metodo agli antichi Romani (con il cosiddetto “vino titillans”, cioè frizzante) che lasciavano fermentare il mosto due volte nelle anfore. Nei secoli successivi questo metodo venne adoperato per prima sui vini spumanti della regione Limoux (come l'Aoc Blanquette), già nel XVI secolo, e fu poi utilizzato anche per i vini Champagne. Oggi i vini così prodotti vengono definiti “petillant naturelle”. In Italia i vini spumanti prodotti con metodo ancestrale si concentrano soprattutto in Emilia Romagna o Toscana, ma non mancano gli ottimi vini bianchi dell’Alta Marca Trevigiana fermentati in maniera ancestrale.
Un vino Prosecco non può dirsi tale se non viene sottoposto alla rifermentazione chiamata spumantizzazione ossia il procedimento che crea e garantisce le famose bollicine per cui questo vino è tanto famoso nel mondo. Vi sono però diversi metodi per la spumantizzazione. I metodi più utilizzati sono il metodo Classico e il metodo Martinotti, noto anche come metodo Charmat. Esiste poi il metodo ancestrale o antico, del quale parliamo in un altro post dedicato. Cerchiamo qui di capire qual è la differenza tra i due metodi principali di rifermentazione del vino base e quali sono i risultati in bottiglia e in bicchiere.
La differenza fondamentale tra il metodo Classico e il metodo Martinotti/Charmat è che nel primo caso la rifermentazione avviene in bottiglia per molto tempo, mentre nel secondo il vino base viene fatto rifermentare in serbatoi chiusi a tenuta di pressione chiamati autoclavi. Quello della spumantizzazione in bottiglia è un metodo molto utilizzato in Francia per gli Champagne, e viene chiamato Champenoise. In Italia il medesimo metodo viene chiamato “Metodo Classico”. Lo stesso avviene per il metodo Martinotti, che è l'equivalente italiano del francese Charmat, ma perfezionato e ancora più preciso. In entrambi i metodi, al vino base vengono addizionati zucchero e lieviti selezionati. Nessuna presenza di CO2 addizionata, visto che le bollicine si formano proprio per l'azione dei lieviti e degli zuccheri insieme. Nel metodo Classico i lieviti vengono attentamente selezionati ed i tempi di fermentazione e lavorazione in bottiglia possono essere anche molto lunghi. Ogni bottiglia viene mantenuta in posizione orizzontale, fino ad esaurire la quantità di zuccheri e portare ad un conseguente aumento della pressione (il tempo è a discrezione del produttore, ma è abbastanza lungo, almeno per diversi mesi). A quel punto si passa al “remuage”, cioè al riportare le bottiglie in posizione verticale: il collo della bottiglia viene però congelato a -25° e viene stappato. Il vino fuoriuscito viene rimboccato per poi procedere alla chiusura definitiva della bottiglia.
Il discorso cambia per il metodo Martinotti, equivalente dello Charmat francese. In questo caso, infatti, il vino base, aggiunto di lieviti e zuccheri, viene posto in autoclavi in acciaio a temperatura controllata, per dar vita alla cosiddetta “presa di spuma” con la quale si ottiene la rifermentazione. Al termine di questo procedimento il vino viene posto a basse temperature e sottoposto dapprima a refrigerazione per ottenere la stabilità tartarica e successivamente a filtrazione. Dopo la filtrazione allo spumante vengono fatte le opportune aggiunte dopodiché si imbottiglia e si commercializza. Un Prosecco ottenuto con metodo Martinotti può essere prodotto anche in 40 giorni (va però detto che vi sono alcune cantine che arrivano fino a sei mesi). Va da sé che, essendo i tempi molto più veloci rispetto ad uno spumante prodotto con metodo Classico, la qualità di uno spumante metodo Martinotti/Charmat è differente, in quanto si tratta di un vino che deve essere pronto in tempi relativamente veloci per la vendita. Ciò si avverte anche nel gusto e nei profumi, molto semplici e primari, con prevalenza dei toni freschi e fruttati, a differenza di un metodo Classico, che presenta un ventaglio di gusti e sentori davvero variegati. Ovviamente anche i prezzi delle bottiglie saranno molto diversi. Possiamo concludere dicendo che un Prosecco prodotto con metodo Martinotti/Charmat è un vino molto meno strutturato rispetto ad un metodo Classico, ma meno impegnativo, più fresco e giovane.
Quanti di noi al momento dell'aperitivo ordinano un calice di prosecco? Tanti, evidentemente, visto che questo spumante in Italia è legato ai momenti di convivialità e spensieratezza. All'estero invece si conferma come uno dei vini italiani più conosciuti ed apprezzati, da sempre associati all'Italian lifestyle, e viene bevuto anche a tutto pasto. Gli estimatori del prosecco amano il suo perlage persistente e la facile bevibilità e quel sentore fruttato di frutta fresca e crosta di pane.
Non tutti sanno, però, come si arriva a questo vino e qual è il procedimento che dall'uva porta alle mitiche bollicine. Pertanto, come si fa il prosecco? Ecco in che modo si ottengono le mitiche bollicine.
Si parte ovviamente dalla raccolta delle uve, che per il prosecco sono costituite dal 100% del vitigno Glera se in purezza o all'85% dal vitigno Glera e al rimanente 15% a scelta tra Pinot, Chardonnay, Verdiso, Bianchetto, etc. Il vitigno Glera era già noto ai tempi degli antichi Romani, ed il primo luogo dove esso è stato coltivato è proprio nella località Prosecco (da cui il nome del vino), verso Trieste. Le uve vengono vendemmiate e trasferite in cantina, pressate in maniera leggera in vasche d'acciaio fino ad estrarre il mosto. Quest'ultimo viene fatto decantare con enzimi, aggiungendo poi lieviti selezionati e fatta fermentare ad una temperatura di circa 18 gradi. Il risultato sarà il vino base pronto per la successiva spumantizzazione.
A questo punto la cantina dovrà procedere con la spumantizzazione, e scegliere che tipologia di prosecco ottenere (brut, dry, extra dry). Ad ogni modo la spumantizzazione si ottiene inserendo il vino base in autoclavi (Metodo Martinotti) insieme con zucchero di canna e lieviti selezionati scelti accuratamente.
Questa fase dura fino ai 50 giorni, per dare modo al vino di formarsi e dare il meglio di sé, dopodiché si può imbottigliare. Dalla raccolta delle uve all'imbottigliamento possono trascorrere anche sei mesi. Esiste comunque un disciplinare che prescrive le fasi della produzione del prosecco in maniera molto dettagliata, nonché una commissione che si occupa di controllare l’ idoneità chimica ed organolettica del prodotto.
Dopo la fase di spumantizzazione si può finalmente procedere con l'imbottigliamento. Chiariamo subito che il prosecco è un vino che per legge va necessariamente messo in bottiglia e non può essere venduto sfuso in altri tipi di contenitori. Il processo di messa in bottiglia è perciò molto importante per l'ottenimento di un vino prosecco, per cui occorre scegliere con cura il periodo. Di solito l'imbottigliamento avviene nei mesi di marzo e aprile, quando la temperatura comincia ad essere più mite ma non troppo calda. Una volta travasato nelle damigiane il vino va tenuto così in cantina, al buio e con una temperatura intorno ai 12/15 gradi. La temperatura del prodotto durante la messa in bottiglia è invece molto più bassa (vicina allo 0) e ciò fa sì che il vino non perda le sue bollicine in questa fase,in quanto l'anidride carbonica viene conservata. Il periodo di affinamento in damigiane dura più o meno un mese, dopodiché il vino può essere travasato nelle singole bottiglie, etichettato e preparato per la commercializzazione. Dall'imbottigliamento alla commercializzazione del Prosecco vi sono infine altri step da superare, per le cantine: il vino dovrà infatti risultare prima idoneo ai controlli e certificato con marchio DOC o DOCg e poi avere il contrassegno di Stato per la tutela dei consumatori. Solo così si potrà garantire di avere nel bicchiere un ottimo prodotto.