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Per
tutelare meglio i prodotti italiani e la loro provenienza, già da
tempo vengono apposti dei marchi su particolari alimenti o bevande.
Marchi che sono l'Igp (Indicazione geografica protetta), la Doc
(Denominazione di origine controllata), la Dop (Denominazione di
origine protetta) e Docg (Denominazione di origine controllata e
garantita). Questi
marchi possono essere attribuiti a dei prodotti seguendo delle regole
ben precise, che
vengono a trovarsi nei cosiddetti “Disciplinari”.
Un disciplinare può essere quindi equiparato ad una vera e propria legge, e se si contravviene a questa legge si è sottoposti a delle sanzioni. Anche i vini possiedono dei loro disciplinari e, nello specifico, anche il Prosecco. Vediamo allora in cosa consiste il disciplinare del Prosecco e quali caratteristiche tutela.
A creare un Disciplinare per determinati prodotti sono i cosiddetti consorzi di tutela. Per il Prosecco il Consorzio in questione è quello di tutela della denominazione. La denominazione “Prosecco Doc” si applica, ad esempio, solo a vini bollicine che vengono dalle regioni Veneto e Friuli Venezia Giulia. In particolare dalle province di Belluno, Padova, Treviso, Venezia, Vicenza per il Veneto, e Gorizia, Pordenone, Trieste e Udine per il Friuli. Le tipologie del Prosecco Doc sono quelle del “Prosecco Tranquillo”, “Prosecco Spumante” e “Prosecco Frizzante”. Il vino deve essere sempre ottenuto da uve di vitigno Glera, mentre solo un 15% al massimo di esso può risultare proveniente da vitigni come Verdisio, Bianchetta Trevigiana, Perera, Glera lunga, Chardonnay, Pinot bianco, Pinot grigio e Pinot nero.
Per quanto riguarda la gradazione alcolica, invece, deve attestarsi intorno ad un minimo di 10,5% vol. per il Tranquillo e per il Frizzante, con un colore giallo paglierino ed un odore tipico delle uve di provenienza, mentre il sapore dovrà risultare fresco, da amabile a secco. Per il Prosecco Spumante invece il minimo alcolico fissato è intorno agli 11 gradi, il colore dovrà essere sempre giallo paglierino, ma più intenso e brillante rispetto al Prosecco tranquillo, la spuma dovrà risultare persistente e l'odore fine e caratteristico. Il sapore dello Spumante viene invece classificato dal Disciplinare da brut nature (cioè zero zuccheri) fino a demi-sec (Dry).
Un vino Prosecco Doc può essere commercializzato solo in bottiglie scure di vetro, chiuse con tappo raso bocca. Per le bottiglie più piccole (fino a 375 ml) viene ammesso anche il tappo a vite. Per il Prosecco Spumante, invece vengono seguite le norme dell'Ue, che prevedono l'uso di tappi in sughero con percentuale non inferiore al 51%. Anche in questo caso, per le bottiglie più piccole (fino a 200 ml) viene consentito il tappo a vite, insieme con un sovratappo a fungo oppure in plastica. In etichetta possono essere riportate (ma non è obbligatorio) l'annata di produzione e la zona, intesa come regione e provincia di provenienza dei vitigni.
La denominazione Doc per il Prosecco è arrivata solo nel 2009, dopo un lunghissimo e complicato percorso politico, economico e burocratico. Tutto nasce negli anni ’70 del Novecento, quando la domanda di questo vino particolare ha cominciato a diventare sempre più massiccia nel mondo, e ha reso necessario tutelare il nome del prodotto. A questo proposito occorre dire che già nel 1977 il Prosecco fu inserito nell’elenco dei “Vini da tavola a indicazione geografica”. L’ulteriore miglioramento della qualità negli ultimi decenni e la necessità di una maggiore tutela del nome a livello internazionale, hanno portato nel 2009 ad ottenere il riconoscimento della denominazione di origine controllata «Prosecco» (decreto ministeriale 17 luglio 2009). Il Disciplinare al suo interno prevede anche due Docg, per le zone “Conegliano Valdobbiadene” e “Colli Asolani” o “Asolo”. Il Discliplinare ha subìto recentemente (nel 2019) delle modifiche, che ne hanno corretto alcuni passi e articoli.
Una caratteristica tipica distintiva degli spumanti – e chiaramente anche dei vini Prosecco - riguarda il grado zuccherino. Stiamo parlando della dicitura Dry, extra Dry, Brut ed Extra Brut che si legge sul fronte delle etichette. Chi ha iniziato da poco a capirci qualcosa di vini, spesso non sa come districarsi tra tutte queste informazioni. Proviamo allora a fare chiarezza su queste definizioni.
Nell'articolo dedicato alla produzione del Prosecco abbiamo visto come la quantità di lieviti e zuccheri sia differente secondo il metodo di preparazione: il residuo zuccherino che si ritrova nel prodotto finito è dunque il parametro discriminante per distinguere un vino dry, extra dry, brut o extra brut.
Eh si, lo sappiamo: ci cascano in molti. Il termine “dry” porta i più a pensare che si avrebbe a che fare con un vino poco dolce, in quanto secco. E invece il Dry o Sec sta a indicare un residuo zuccherino che si attesta tra i 17 e i 32 grammi per ogni litro di vino. Si tratta perciò di un vino dolce, spesso fruttato con sentori di pesca e mela verde, perfetto per accostamenti con frutta e piccola pasticceria o in alternativa come contrasto a piatti estremamente piccanti o speziati.
Nonostante la dicitura in inglese "Extra Dry" significhi "molto secco", in realtà questa tipologia di spumante è solamente meno dolce di un Dry, ma certamente più amabile di un Brut. Il residuo zuccherino qui si presenta infatti tra i 12 e i 17 grammi per litro. E' lui, comunque, il protagonista assoluto degli aperitivi, dal momento che il suo gusto si sposa molto bene con i formaggi, gli stuzzichini, ma anche per un pasto leggero a base di carni bianche o crostacei.
Quando il residuo zuccherino scende ancora, e si attesta sotto i 12 grammi per litro (di solito tra i 5 e i 12 grammi di zucchero), allora ci troviamo di fronte ad un Prosecco di tipologia Brut. Si tratta di uno spumante dal gusto molto intenso e che comincia a diventare davvero più secco al palato. Il Brut, perciò, lo si sceglie non per gli aperitivi, ma per il pasto. Questo fatto vi stupisce? Beh, in realtà sia certi primi piatti che secondi o contorni possono essere accompagnati da un Prosecco Brut. Un primo piatto di pesce (un risotto ai frutti di mare, ad esempio), dei secondi di pollame o ancora di pesce, ma anche verdure grigliate, o formaggi fino alla media stagionatura. C'è anche chi beve Prosecco Brut sulla frittura di pesce, assicurando che sia perfetto come bilanciamento del gusto del piatto in oggetto.
Quello che si è detto per la tipologia Brut vale ancora di più per gli Extra Brut: un vino Prosecco dal residuo zuccherino davvero basso (da 0 a 5 grammi per litro), secco, asciutto e frizzante al punto giusto, ottimo come accompagnamento a tutto pasto. Via libera, dunque, ai piatti a base di molluschi, siano essi primi o secondi, e a contorni di ortaggi e verdure. Bene anche sui formaggi non troppo stagionati. Sconsigliati, infine, sui dolci o in generale in accompagnamento ai dessert. Una parentesi va qui dedicata alla tipologia Brut Nature, che rientra nell'Extra Brut fino ad un residuo zuccherino di 3 grammi per litro. Questi Prosecchi (ma anche certi Champagne) vengono detti Pas Dosé (o dosaggio Zero), in riferimento proprio alla quasi totale assenza di zucchero. Anche in questo caso gli abbinamenti più indicati riguardano i piatti di pesce, o quelli molto salati, o ancora i formaggi dalla consistenza "lattosa".
Quello di diventare sommelier è un sogno che oggi hanno nel cassetto sempre più persone. Spesso si tratta di chi nutre già una passione per il vino o di chi possiede piccole esperienze nel settore e vorrebbe specializzarsi, magari come intenditore di bollicine, tra prosecchi o champagne francesi. A volte però ci sono anche persone che sono dei semplici appassionati e vogliono saperne di più sull'argomento. Il problema è che spesso non ci si riesce ad orientare, tra le molte proposte sul mercato di corsi, non sempre qualificati e qualificanti. Oggi cerchiamo di darti qualche dritta utile in tal senso, se stai pensando di diventare sommelier.
Se hai intenzione di intraprendere un percorso di formazione per sommelier evidentemente già sai di cosa si occupa questa speciale figura professionale. Un sommelier è colui che conosce alla perfezione i vini o particolari tipi di vino: individua immediatamente aromi, gusti, sentori, annate, e li abbina a determinati piatti. Questo tipo di consigli non è rivolto solo ai clienti, ma anche a proprietari di ristoranti, servizi di ristorazione in villaggi turistici, su navi da crociera, etc. Oltre a qualità di sensibilità innate il futuro sommelier deve perciò padroneggiare molto bene le metodiche di avvicinamento e conoscenza di un vino, anche attraverso strumentazione tecnica (uso dei termometri, del tastevin, decanter, frangino, cavatappi e così via). Deve inoltre conoscere una o più lingue straniere, visto che il settore del vino diventa ogni giorno più internazionale. Trovare un lavoro molto remunerativo come sommelier (come del resto capita per moltissime professioni o mestieri) non è immediato, ma occorrono anni di perfezionamento e gavetta. Un sommelier può lavorare sia come libero professionista, in qualità di consulente, sia come dipendente. Molti sono gli ambiti in cui può impiegarsi: dai ristoranti alle strutture ricettive come i resort, dalle navi da crociera alle fiere dedicate all'enologia, fino alla Gdo, le catene di grande distribuzione organizzata. Per quanto riguarda i guadagni si può partire dagli 800-1000-1500 euro al mese, quando si è agli inizi, fino ad arrivare, con l'esperienza ed il maggior prestigio acquisito a 4 mila euro al mese (ristoranti stellati, strutture deluxe, etc.).
Prima di elencarti i corsi che sono i più attendibili in questa professione, è bene chiarire che in giro ci sono tantissimi corsi per sommelier, fruibili anche solo online, che quasi “distribuiscono” attestati a fronte di un pagamento. Il consiglio è di stare lontani da questo tipo di approcci formativi per i sommelier (eccettuato, ovviamente, il periodo di lockdown per Coronavirus) e di dedicarsi a corsi che prevedono un impegno a 360 gradi, anche di tipo frontale. È importante, perciò, scegliere sempre corsi certificati, messi a disposizione da enti con anni di esperienza e prestigio nel settore. I corsi migliori durano anni, e constano di tre livelli, ognuno di un anno e con delle specifiche tematiche da affrontare e in cui specializzarsi. Al termine del percorso di formazione professionale, si deve sostenere un esame, come accade per i master di tipo universitario. I costi non sono economici, ma vanno considerati come un investimento per la carriera futura. Tra gli enti che organizzano corsi seri e accreditati va senza dubbio citata l'AIS (Associazione Italiana Sommelier). Vi sono poi i corsi dell'ASPI (Associazione Sommellerie Professionale Italiana), di BIBENDA (Federazione Italiana Sommelier) e di FISAR (Federazione Italiana Sommelier Albergatori Ristoratori). Ognuno di questi percorsi professionali è in grado di fornire una formazione davvero completa e adeguata in Italia. Se invece si preferisce un percorso di tipo internazionale si possono frequentare i corsi tenuti dalla WSET, Wine and Spirit Education Trust.
Prosecco is among the most consumed bubbles in Italy and in the world. Perfect as an aperitif, it also goes well with fresh and appetizing dishes, so much so that there are also those who do not disdain it with desserts! In summer, then, it is a real treat. But how is Prosecco born, what are its origins and why is it called just like that? Let's see it together.
It seems that the origins of Prosecco wine, with the name by which we know it today, date back to the end of the 16th century, when this name was given to sparkling wine for the first time. In particular, the definition is given to the castellum nobile Pucinum wine, identified with the castle of Prosecco, a municipality in the Friuli province of Trieste. The wine "Pucinum", that is Puccino, according to some written evidence of the time, was extremely appreciated already at the time of the Romans (so much that Pliny the Elder also speaks of it in his Naturalis Historia and it seems it was the favorite wine of the empress Livia, wife of Augustus). Subsequently, between the end of the eighteenth and the beginning of the nineteenth century, the Prosecco vine widened from the Friulian belt to the Venetian hills. A curiosity: the term "Prosecco" as we know it referred to wine, appears for the first time precisely in this period, in 1754, in a poem, "Il Roccolo Ditirambo", written by Valeriano Canati.
At the beginning of the 19th century Francesco Maria Malvolti, a winemaker interested in the development of sparkling wines, already pointed out in a speech at the Conegliano Academy "how interesting and exquisite their Prosecco were" (he mentioned them together with the Bianchetti and Moscatelli).
Subsequently, in 1868 Antonio Carpené also included Malvolti in the company he founded (Società Enologica Trevigiana) in the production of Prosecco. It is perhaps from this date that Prosecco begins to be known, promoted and appreciated as a wine in the modern sense and as we currently know it. Carpené and Malvolti also founded the Wine School, within which the famous Conegliano-Valdobbiadene sparkling method was born: a sort of Charmat method, with wine refermented together with native yeasts and sugars for at least a month in an autoclave. Perhaps not everyone knows that there is a substantial difference between the different types of Prosecco. There is the least alcoholic one, which is sparkling Prosecco, which never exceeds 9% vol. Then there is the one called "quiet", which has an alcohol content always within 10.5% vol. Finally, Prosecco Spumante, which starts from a minimum of 11% vol., Therefore the most alcoholic of all.
In the 1960s (1966, to be precise) the first Italian wine route was created: the Prosecco route. It is an itinerary along all the vines of Conegliano-Valdobbiadene, which still remains an essential destination for lovers of bubbles, which then also became the first sparkling wine district in Italy. The highest recognition of Prosecco as a wine was in August 2009, when the famous Conegliano Valdobbiadene sparkling wine obtained the DOCG, Denomination of Controlled and Guaranteed Origin. Already thirty years earlier, in 1969, the DOC recognition had arrived for Prosecco produced in the same perimeter of the territory. Also in 2009, it must be said, all Prosecco production in the nine provinces between Trieste and Vicenza is awarded the DOC brand. This wine has also been rewarded by consumers through sales. In fact, between the years 2005 and 2010 an exponential growth in the consumption of Prosecco began, so much so that in 2013 for the first time its sale exceeded that of French Champagne in the world.
In un altro post di questo blog abbiamo parlato dei metodi più conosciuti per la “lavorazione” e la spumantizzazione dei vini bollicine, in particolare del Prosecco: il Classico o Champenoise e lo Charmat (Martinotti). Esiste però un metodo molto più antico, il primo in assoluto nella storia dedicato ai vini frizzanti, completamente naturale: il metodo ancestrale. Vediamo, pertanto, in cosa consiste il metodo ancestrale e che differenze ci sono rispetto al metodo Charmat e al metodo Classico. La caratteristica principale del metodo ancestrale è quello di non utilizzare alcuna sostanza estranea al vino e ai prodotti della terra, men che meno ritrovati chimici. Possiamo dire che si tratta di una via di mezzo rispetto agli altri due metodi, anche se forse si avvicina di più allo champenoise (o classico) rispetto ad uno Charmat/Martinotti. Vediamo allora nello specifico in cosa consiste il metodo ancestrale e qual è la sua storia.
Per prima cosa un vino fermentato con metodo ancestrale parte da una pressatura leggera delle uve, per consentire che i lieviti presenti naturalmente nelle bucce degli acini (“lieviti indigeni o autoctoni”) possano estendersi a tutto ciò che viene ricavato. Il mosto ottenuto, viene inserito in vasche di acciaio inox a temperature costantemente controllate, spesso molto basse. A questo punto la fermentazione viene gradualmente rallentata fino ad essere bloccata del tutto: lo stop viene deciso quando il vino raggiunge una certa quantità di zuccheri e lieviti, che garantiranno una ripresa di una fermentazione tutta naturale una volta trasferito il vino in bottiglia.
Una volta trasferito in bottiglia (di solito questo procedimento avviene con una temperatura piuttosto mite, intorno al mese di aprile) il vino riprende la sua naturale fermentazione, garantendo un giusto equilibrio di zuccheri e lieviti: avviene così la cosiddetta rifermentazione. Alla fine il vino può essere capovolto, etichettato e messo in commercio. Se lo si agita i lieviti rivivono e ritornano in sospensione. Per questo motivo il sapore di uno spumante metodo ancestrale risulta più complesso e corposo, e ricorda il pane, in special modo la sua crosta. Questi vini vengono definiti anche “col fondo”.
Le origini del metodo ancestrale in fermentazione, sembra risalgano a diversi secoli fa in Francia, addirittura prima dello Champagne. A voler essere pignoli potremmo ricondurre gli albori di questo metodo agli antichi Romani (con il cosiddetto “vino titillans”, cioè frizzante) che lasciavano fermentare il mosto due volte nelle anfore. Nei secoli successivi questo metodo venne adoperato per prima sui vini spumanti della regione Limoux (come l'Aoc Blanquette), già nel XVI secolo, e fu poi utilizzato anche per i vini Champagne. Oggi i vini così prodotti vengono definiti “petillant naturelle”. In Italia i vini spumanti prodotti con metodo ancestrale si concentrano soprattutto in Emilia Romagna o Toscana, ma non mancano gli ottimi vini bianchi dell’Alta Marca Trevigiana fermentati in maniera ancestrale.
Un vino Prosecco non può dirsi tale se non viene sottoposto alla rifermentazione chiamata spumantizzazione ossia il procedimento che crea e garantisce le famose bollicine per cui questo vino è tanto famoso nel mondo. Vi sono però diversi metodi per la spumantizzazione. I metodi più utilizzati sono il metodo Classico e il metodo Martinotti, noto anche come metodo Charmat. Esiste poi il metodo ancestrale o antico, del quale parliamo in un altro post dedicato. Cerchiamo qui di capire qual è la differenza tra i due metodi principali di rifermentazione del vino base e quali sono i risultati in bottiglia e in bicchiere.
La differenza fondamentale tra il metodo Classico e il metodo Martinotti/Charmat è che nel primo caso la rifermentazione avviene in bottiglia per molto tempo, mentre nel secondo il vino base viene fatto rifermentare in serbatoi chiusi a tenuta di pressione chiamati autoclavi. Quello della spumantizzazione in bottiglia è un metodo molto utilizzato in Francia per gli Champagne, e viene chiamato Champenoise. In Italia il medesimo metodo viene chiamato “Metodo Classico”. Lo stesso avviene per il metodo Martinotti, che è l'equivalente italiano del francese Charmat, ma perfezionato e ancora più preciso. In entrambi i metodi, al vino base vengono addizionati zucchero e lieviti selezionati. Nessuna presenza di CO2 addizionata, visto che le bollicine si formano proprio per l'azione dei lieviti e degli zuccheri insieme. Nel metodo Classico i lieviti vengono attentamente selezionati ed i tempi di fermentazione e lavorazione in bottiglia possono essere anche molto lunghi. Ogni bottiglia viene mantenuta in posizione orizzontale, fino ad esaurire la quantità di zuccheri e portare ad un conseguente aumento della pressione (il tempo è a discrezione del produttore, ma è abbastanza lungo, almeno per diversi mesi). A quel punto si passa al “remuage”, cioè al riportare le bottiglie in posizione verticale: il collo della bottiglia viene però congelato a -25° e viene stappato. Il vino fuoriuscito viene rimboccato per poi procedere alla chiusura definitiva della bottiglia.
Il discorso cambia per il metodo Martinotti, equivalente dello Charmat francese. In questo caso, infatti, il vino base, aggiunto di lieviti e zuccheri, viene posto in autoclavi in acciaio a temperatura controllata, per dar vita alla cosiddetta “presa di spuma” con la quale si ottiene la rifermentazione. Al termine di questo procedimento il vino viene posto a basse temperature e sottoposto dapprima a refrigerazione per ottenere la stabilità tartarica e successivamente a filtrazione. Dopo la filtrazione allo spumante vengono fatte le opportune aggiunte dopodiché si imbottiglia e si commercializza. Un Prosecco ottenuto con metodo Martinotti può essere prodotto anche in 40 giorni (va però detto che vi sono alcune cantine che arrivano fino a sei mesi). Va da sé che, essendo i tempi molto più veloci rispetto ad uno spumante prodotto con metodo Classico, la qualità di uno spumante metodo Martinotti/Charmat è differente, in quanto si tratta di un vino che deve essere pronto in tempi relativamente veloci per la vendita. Ciò si avverte anche nel gusto e nei profumi, molto semplici e primari, con prevalenza dei toni freschi e fruttati, a differenza di un metodo Classico, che presenta un ventaglio di gusti e sentori davvero variegati. Ovviamente anche i prezzi delle bottiglie saranno molto diversi. Possiamo concludere dicendo che un Prosecco prodotto con metodo Martinotti/Charmat è un vino molto meno strutturato rispetto ad un metodo Classico, ma meno impegnativo, più fresco e giovane.
Quanti di noi al momento dell'aperitivo ordinano un calice di prosecco? Tanti, evidentemente, visto che questo spumante in Italia è legato ai momenti di convivialità e spensieratezza. All'estero invece si conferma come uno dei vini italiani più conosciuti ed apprezzati, da sempre associati all'Italian lifestyle, e viene bevuto anche a tutto pasto. Gli estimatori del prosecco amano il suo perlage persistente e la facile bevibilità e quel sentore fruttato di frutta fresca e crosta di pane.
Non tutti sanno, però, come si arriva a questo vino e qual è il procedimento che dall'uva porta alle mitiche bollicine. Pertanto, come si fa il prosecco? Ecco in che modo si ottengono le mitiche bollicine.
Si parte ovviamente dalla raccolta delle uve, che per il prosecco sono costituite dal 100% del vitigno Glera se in purezza o all'85% dal vitigno Glera e al rimanente 15% a scelta tra Pinot, Chardonnay, Verdiso, Bianchetto, etc. Il vitigno Glera era già noto ai tempi degli antichi Romani, ed il primo luogo dove esso è stato coltivato è proprio nella località Prosecco (da cui il nome del vino), verso Trieste. Le uve vengono vendemmiate e trasferite in cantina, pressate in maniera leggera in vasche d'acciaio fino ad estrarre il mosto. Quest'ultimo viene fatto decantare con enzimi, aggiungendo poi lieviti selezionati e fatta fermentare ad una temperatura di circa 18 gradi. Il risultato sarà il vino base pronto per la successiva spumantizzazione.
A questo punto la cantina dovrà procedere con la spumantizzazione, e scegliere che tipologia di prosecco ottenere (brut, dry, extra dry). Ad ogni modo la spumantizzazione si ottiene inserendo il vino base in autoclavi (Metodo Martinotti) insieme con zucchero di canna e lieviti selezionati scelti accuratamente.
Questa fase dura fino ai 50 giorni, per dare modo al vino di formarsi e dare il meglio di sé, dopodiché si può imbottigliare. Dalla raccolta delle uve all'imbottigliamento possono trascorrere anche sei mesi. Esiste comunque un disciplinare che prescrive le fasi della produzione del prosecco in maniera molto dettagliata, nonché una commissione che si occupa di controllare l’ idoneità chimica ed organolettica del prodotto.
Dopo la fase di spumantizzazione si può finalmente procedere con l'imbottigliamento. Chiariamo subito che il prosecco è un vino che per legge va necessariamente messo in bottiglia e non può essere venduto sfuso in altri tipi di contenitori. Il processo di messa in bottiglia è perciò molto importante per l'ottenimento di un vino prosecco, per cui occorre scegliere con cura il periodo. Di solito l'imbottigliamento avviene nei mesi di marzo e aprile, quando la temperatura comincia ad essere più mite ma non troppo calda. Una volta travasato nelle damigiane il vino va tenuto così in cantina, al buio e con una temperatura intorno ai 12/15 gradi. La temperatura del prodotto durante la messa in bottiglia è invece molto più bassa (vicina allo 0) e ciò fa sì che il vino non perda le sue bollicine in questa fase,in quanto l'anidride carbonica viene conservata. Il periodo di affinamento in damigiane dura più o meno un mese, dopodiché il vino può essere travasato nelle singole bottiglie, etichettato e preparato per la commercializzazione. Dall'imbottigliamento alla commercializzazione del Prosecco vi sono infine altri step da superare, per le cantine: il vino dovrà infatti risultare prima idoneo ai controlli e certificato con marchio DOC o DOCg e poi avere il contrassegno di Stato per la tutela dei consumatori. Solo così si potrà garantire di avere nel bicchiere un ottimo prodotto.