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Settembre 2020,
tempo di vendemmia. Vale anche per il Prosecco, e per la
denominazione Docg Conegliano Valdobbiadene. Sebbene a luglio il
quadro delle previsioni non fosse totalmente roseo per le nostre
amate “bollicine”, in realtà la
situazione lascia spazio per essere ottimisti, a tutto vantaggio
della qualità di questa annata,
che si preannuncia qualitativamente di alto livello. Conosciamo però
i dettagli di queste previsioni e come si svolgerà la vendemmia.
Nello scorso mese di luglio il Settimanale Tre Bicchieri ha pubblicato un sondaggio a campione sui più importanti distretti del vino in Italia. Quelli presi in considerazione sono stati 18. Ciò che ne è venuto fuori è stato che, nonostante un calo nella quantità della produzione, la qualità dei vini per il 2020 sarà molto alta. Di sicuro il Prosecco, stando alle previsioni di due mesi fa, non avrebbe confermato i volumi del 2019. A fronte di questo calo quantitativo (e di conseguenza, si teme, nelle vendite), le uve sono ottime, quando non eccelse. È quanto assicurano anche i tecnici del Consorzio dello stesso Prosecco Docg Conegliano Valdobbiadene. In realtà il lavoro non si è fermato affatto, pur con le restrizioni e le norme imposte dalla pandemia di Covid 19. Stando alle dichiarazioni dei viticoltori del consorzio, il loro impegno è stato ancora più forte. Se si pensa che le vendite di Prosecco hanno subìto una flessione leggerissima da gennaio ad agosto di quest'anno (-3,8%, dati forniti dal Consorzio) rispetto, ad esempio, al -40% del comparto food e ristorazione, si capisce come i risultati debbano considerarsi davvero buoni. La vendemmia del 2020, intanto, si presenta ottima dal punto di vista climatico.
Ebbene sì, il 2020, seppur un anno molto complicato dal punto di vista economico e sociale, è stato molto positivo (almeno fino ad ora) dal punto di vista del clima e delle temperature. Dopo un inverno a cavallo con il 2019 secondo gli standard climatici mediterranei, la primavera è stata splendida, soleggiata e mite, e un'estate che sta trascorrendo senza umidità eccessiva. Grazie a queste caratteristiche le uve di Glera sono maturate con grappoli pieni e assolutamente privi di ammaccature, scottature o perdite di volume ed idratazione. Risultato: il livello di acidità è ottimale, caratteristica necessaria per un Prosecco che risponda ai canoni ottimali. Se l'autunno manterrà le promesse fatte, le uve saranno fresche e fragranti.
Ricordiamo che il territorio del Consorzio Conegliano Valdobbiadene Docg si contraddistingue per peculiarità del terreno non comuni. I pendii rapidi e scoscesi e le curve che procedono con saliscendi rendono questi spazi non vendemmiabili tramite l'ausilio di macchinari. Ciò rende possibile la vendemmia, quindi, solo a mano. Per quest'anno si comincerà da Sud-Est, dalle zone più assolate e secche, cioè, per arrivare via via alle zone di Nord-Ovest durante il corso di tutto il mese di settembre. Ecco che dunque, a fronte delle consuete 150 o 200 ore di lavoro per ettaro che viene richiesto nelle zone più pianeggianti, nel Conegliano Valdobbiadene le ore da lavorare per ettaro ogni anno arrivano a 600 o 700! Non a caso questo tipo di vendemmia viene definita “eroica” e spiega anche il maggior prezzo dei Prosecchi di questo consorzio al consumatore finale. Chiudiamo con le parole di Innocente Nardi, presidente del Consorzio di tutela Conegliano Valdobbiadene Docg: “La viticoltura eroica si difende costruendo valore e non con la quantità. La sfida non è conclusa ma siamo certi di avere la passione necessaria per affrontarla”.
Finora abbiamo sempre parlato di vino in generale, e di Prosecco nello specifico, considerando le tecniche di lavorazione, i sapori, le caratteristiche, i dati sulla vendita, ma dando per scontato, in un certo senso, il frutto e ancora di più la pianta da cui tutto nasce: la vite. Quando è nato il vino e quali sono le origini della viticoltura? Che caratteristiche possiede una vite sana? A queste domande, che nascondono tante notizie di storia, cerchiamo di rispondere con questo articolo.
L'archeologia è una scienza a cui si possono tenere nascoste davvero poche cose. Tra queste la nascita della viticoltura e delle piante di uva da vino. Basti pensare che la vite selvatica appare sulla Terra già 60 milioni di anni fa (uno dei più antichi esseri viventi in natura), mentre quella da vino, “Vitis vinifera” fa la sua comparsa “solo” 1 milione di anni fa. L'adozione della tecnica con Carbonio 14 ha poi aiutato a scoprire come la viticoltura sia comparsa già nel 7000 avanti Cristo, nella culla della civiltà: la Mezzaluna fertile (la zona che si estende tra la zona montuosa del Caucaso e i Paesi del Nord-Africa, come l'Egitto). Già in quest'epoca, quindi, si rilevano tracce di quelle che erano antiche bevande riconducibili all'antenato del vino. Bisogna però arrivare ai primi anni del '900 per avere un vero e proprio vigneto europeo! Nei secoli precedenti, infatti, sciagure, calamità e parassiti come la filossera, avevano messo a rischio la viticoltura del Vecchio Continente.
La storia del vino risale alla preistoria. Sicuramente l’invenzione del vino è stata fortuita e sembra che sia stato prodotto per la prima volta tra 9 e 10000 anni fa nella zona del Caucaso. Le prime testimonianze archeologiche registrate di presenza della Vitis vinifera sono state rinvenute in alcuni siti degli odierni territori della Cina 7.000 anni A.C., della Georgia 6.000 A.C., dell'Iran 5.000 A.C., della Grecia 4.500 A.C. oltre che in Sicilia 4.000 A.C. Circa. La prova più antica della produzione di vino “in serie” e in modo continuativo, però, è stata trovata in Armenia ed è collocabile temporalmente intorno al 4.100 a.C. circa con la scoperta della più antica cantina per la conservazione esistente. Agli armeni, allora, non si deve tanto l’invenzione del vino, quanto il definitivo sviluppo delle coltivazioni e di conseguenza la produzione del nostro amato elisir alcolico.
Il vigneto e il vino sono stati una parte importante delle società fin dall'Antichità, intimamente associati alle loro economie e cultura popolare tradizionale. Il vino è sinonimo di festività, ubriachezza, convivialità; ha investito di sé il vasto campo dei valori simbolici ed è presente tutt'oggi nella maggior parte dei paesi. La sua esistenza è frutto di una storia lunga e turbolenta.
Gli ettari adibiti a vitigni nel mondo equivalgono a circa 8 milioni. Di questi, quasi 5 milioni si trovano proprio in Europa, con prevalenza di Paesi come Italia e Francia. Da non sottovalutare anche la Spagna, con 1 milione di ettari, spesso utilizzati per la produzione del brandy. Restando in Italia, secondo i dati resi noti da Federvini, il primo posto va al vitigno Sangiovese, con 54 mila ettari. Successivamente troviamo il vitigno Montepulciano, con 27 mila ettari e poi il Glera (il vitigno del nostro Prosecco). Interessante la tracciabilità del Trebbiano bianco, coltivato per la maggior parte fuori dal nostro Paese. In pratica, in Italia si trovano appena 21 mila ettari di Trebbiano, in confronto dei 111 mila ettari in altri Paesi. Com'è la situazione nel mondo, invece? A parte la sorpresa del Kyoho, coltivato in gran parte in Cina, a farla da padrone è il Cabernet Sauvignon, con ben 341 mila ettari. Seguono il Merlot, con 266 mila ettari, e il Tempranillo, con 231 mila.
Quando si hanno dei vitigni da curare bisogna affrontare diversi problemi e complicanze che la vite presenta. Si tratta infatti di una pianta molto delicata, sensibile agli sbalzi di temperatura e alle intemperie, come freddo, gelate, caldo intenso e siccità. C'è bisogno di tempo mite in maniera costante, e se tenuto bene, un vitigno può durare molti anni. Una pianta di vite, infatti, arriva anche a vivere fino a 90 anni, un po' come gli esseri umani. Per tutto l'inverno che segue alla vendemmia le viti resteranno spoglie, mentre per attendere le prime gemme occorrerà che arrivi la primavera. Lì ci saranno i primi germogli. Se questi ultimi mancano vuol dire che l'inverno ha danneggiato la pianta. Va quindi molto seguita, quasi quotidianamente, ed osservata per notare il minimo cambiamento in essa. Più la vite viene curata e messa al primo posto per qualità di coltivazione, più il vino sarà buono.
Nel nostro blog ci occupiamo di tutti gli aspetti relativi al mondo del Prosecco: cerchiamo di capire qual è la sua provenienza, quali le sue origini storiche, diamo uno sguardo ai metodi di realizzazione, e ai dati sulle vendite e su quanto esso venga apprezzato nel mondo. Molto spesso abbiamo affrontato anche curiosità e dati interessanti su prezzi e utilizzi di questo vino. Non ci siamo finora però mai occupati di un argomento che pure risulta molto importante, anzi, oseremmo dire fondamentale: gli abbinamenti con il cibo. Quali sono le pietanze che meglio si sposano con il Prosecco, dal Dry al grado 0? Vediamolo insieme.
Apprezzato e versatile: il prosecco è buono a tutto pasto
La particolarità del Prosecco, che lo rende per questo un vino più unico che raro, è che può essere gustato accanto a qualsiasi tipo di portata, a tutto pasto. La sua versatilità lo rende infatti adatto tanto agli aperitivi quanto a certi tipi di primi piatti, di secondi o dessert. Basta scegliere il giusto grado zuccherino, e magari cambiare solo quello, restando comunque nell'ambìto Prosecco. Facciamo un esempio, sempre tenendo a mente la regola aurea che non bisognerebbe mai utilizzare più di tre tipi di vino (o tre vini completamente diversi) per pasto. Per l'aperitivo e gli antipasti il consiglio è quello di scegliere un Brut, abbastanza secco ed in grado di esaltare cibi come tartine, verdure, stuzzichini vari. Preferibile non miscelarlo a liquori o succhi di frutta, altrimenti si entra nell'argomento cocktail (a cui dedicheremo un post) e perderebbe i suoi sentori caratteristici. Per i primi piatti e per certi secondi, soprattutto a base di verdura (ma c'è chi beve Prosecco anche sulle fritture di pesce o con i molluschi e le orate) meglio preferire un Extra Brut o un grado zero, capace di tirar fuori i veri sapori della terra, come gli asparagi, o un radicchio trevigiano. Perfetto anche con formaggi come la ricotta, soprattutto abbinata a torte rustiche oppure ortaggi come zucchine e melanzane. E per i salumi? Potrebbe sembrare un controsenso, visto che siamo portati a pensare immediatamente ad un rosso quando si parla di salumi, ma un Prosecco amaro va molto bene anche con mortadella o prosciutto cotto (meno con salame o crudo, troppo speziati, che richiedono un appoggio diverso).
Sorprendente con le insalate e i piatti unici estivi
Se siete tra quelli che, soprattutto in estate, non amano i pasti dalle molte portate, ma preferiscono dei piatti unici o delle belle insalatone, anche qui il Prosecco può essere la scelta giusta. Amanti di una caprese con mozzarella, pomodoro e basilico, insalate di riso dagli ingredienti estivi o una Nizzarda a base di tonno, saremo tutti d'accordo con la scelta di un Prosecco di Valdobbiadene docg. Quest'ultimo infatti esalta la freschezza, la delicatezza e la semplicità di questi piatti. L'accostamento è l'ideale anche con gamberetti, o se preferite pranzi a base di frutta esotica come mango e avocado, con contorno di noci. Un unico accorgimento: il vino dovrà essere sempre ghiacciato, mai sopra gli 8°.
Attenzione all'abbinamento con i dessert: mai troppo secco
Un errore che spesso si commette, facilitato anche da una sorta di moda che ha preso piede negli ultimi dieci o venti anni, è quello di associare al dessert uno Spumante Prosecco Brut o Extra Brut. Per un certo periodo sembrava infatti che chi preferiva il vino dolce sul dolce fosse da mettere alla berlina!
Invece no: sui dolci sarebbe meglio evitare completamente il Prosecco, ma se proprio non potete farne a meno, sceglietene uno dal grado zuccherino alto, come un Dry.
Se ne parlava già da diverso tempo, ormai, ma alla fine il Prosecco Rosé ha un suo posto riconosciuto all'interno del Disciplinare dedicato a questo vino spumante. La modifica è infatti stata pubblicata mercoledì 12 agosto in Gazzetta Ufficiale, con tanto di denominazione Doc. Con buona pace dei puristi, che invece erano contro questa decisione. La decisione viene però incontro alle istanze dei molti produttori, che purtroppo hanno dovuto affrontare questa prima metà del 2020 in perdita, e che perciò ora tirano un sospiro di sollievo. Per quanto riguarda le vendite bisognerà aspettare il prossimo 12 ottobre, quando il Prosecco Rosé sarà sugli scaffali di tutti i supermercati come Doc Rosé. Un mese dopo, inoltre, sarà pronto anche per le esportazioni verso i Paesi esteri.
Questa la promessa: produrre 90 milioni di bottiglie di Prosecco Rosè nei prossimi due anni. I produttori di vino Prosecco Doc hanno però l'obbligo di utilizzare prima il vino prodotto nel 2019. Secondo gli stessi produttori la cifra di produzione delle bottiglie si attesterà per i prossimi due o tre mesi fino ai 15 milioni. La promessa è comunque un'altra: arrivare a 90 milioni di bottiglie e più nei prossimi due anni, fino cioè al 2022. La notizia dell'esordio del Prosecco Rosé all'interno del Disciplinare e della successiva commercializzazione ha dato perciò una spinta di entusiasmo ai produttori di questo vino, che non hanno esitato a promuovere nuovi investimenti. Packaging e stoccaggio sono dunque le nuove spese degli imprenditori, i quali assicurano che, nell'attesa dei codici e delle norme per l'imbottigliamento, stanno assistendo già al tutto esaurito nelle prenotazioni del bollicine rosato. Si tratta di una vera e propria sfida per il Consorzio Doc. Il prezzo di una bottiglia di Prosecco Rosé sarà, in ogni caso, un po' più alto rispetto ad un Prosecco classico (sugli 8/10 euro in media per bottiglia).
Di Prosecco Rosé Doc con relativa modifica del Disciplinare si parlava già da anni e molte sono state le controversie affrontate, con uno schieramento quasi in fazioni. Da una parte i puristi del Prosecco (in particolare i produttori dei Docg e anche una larga fetta del Consorzio Doc, contrariati soprattutto dall'aggettivo di denominazione apposto), dall'altra i fautori di questa piccola/grande rivoluzione. Quello che proprio i puristi del Prosecco non riuscivano a sopportare è che il vino ottenuto dai vitigni Glera può essere addizionato di Pinot Nero, quello che cioè diventa il responsabile della colorazione rosata. In questo modo, dicono, si va a snaturare un prodotto tipico di un territorio, che viene automaticamente svilito perché il Pinot Nero è un vitigno internazionale. Un'operazione di puro marketing, si era dunque decretato. Ad avere la meglio, però, è stata la considerazione che il Prosecco Rosé esiste già da tempo, seppur senza riconoscimento da parte del Consorzio e del Disciplinare, e riscuote enorme successo all'estero, in particolare in Paesi come Gran Bretagna ed America del Nord (Stati Uniti e Canada). Si è trattato così di rendere semplicemente ufficiale un dato di fatto.
Molti sono stati gli imprevisti e le difficoltà che i promotori del Prosecco Rosé Doc hanno dovuto affrontare per raggiungere l'obiettivo della denominazione. Tra queste, l'avanzare del falso “Pearsecco”, venduto soprattutto all'estero (proprio come era accaduto per il “Parmesan” contro il Parmigiano Reggiano) e la trattativa con gli svedesi, intenzionati ad acquistare un grosso quantitativo di bottiglie, ma ad un prezzo irrisorio (2,40 euro alla bottiglia). Senza contare il ricorso effettuato dai produttori di Prosecco del Friuli. Alla fine tutto si è concluso per il meglio, con il risultato del riconoscimento del Prosecco Rosé dal Disciplinare.
Il Prosecco è di certo un vino che ha contribuito a creare (e continua a farlo) la storia della cultura italiana. Grazie anche ai vini Prosecco infatti, la fama dell'enogastronomia del nostro Paese è cresciuta moltissimo negli ultimi cinquant'anni, tanto da arrivare, nel 2014, ad un sorpasso nelle vendite nel mondo perfino dello Champagne francese. Tuttavia, i vini Prosecco non sono tutti uguali. Molta differenza passa, ad esempio tra un Prosecco tranquillo e un Prosecco spumante, così come tra un Extra Dry e un dosaggio zero. Tra le molte differenze riconoscibili all'interno dell'universo Prosecco (tutelato anche da un Disciplinare del 2009 e aggiornato nel 2019) troviamo anche la distinzione tra marchio Doc e marchio Docg. Scopriamo di cosa si tratta.
Cominciamo col dire che un marchio Doc indica una Denominazione di origine controllata, mentre un Docg si riferisce ad una Denominazione di origine controllata e garantita. Sia nel caso di vini Prosecchi Doc che Docg stiamo parlando di prodotti strettamente legati a determinati territori, dalle caratteristiche inconfondibili. Nello specifico, per il Prosecco Doc le regioni di elezione sono il Veneto ed il Friuli Venezia Giulia, mentre le province sono quelle di Belluno, Padova, Treviso, Venezia, Vicenza per il Veneto, e Gorizia, Pordenone, Trieste e Udine per il Friuli. Per essere ammesso ad una Denominazione di Origine Controllata, un vino normalmente dovrà passare dalla denominazione Igt (Indicazione Geografica Tipica) e mantenerla per almeno cinque anni. Un vino Doc è una garanzia anche per una migliore vendita dei prosecchi, poiché oltre alla provenienza del vitigno assicura un'alta qualità del vino in oggetto.
Quando un prodotto, un vino e nel caso che ci interessa, un prosecco, ha mantenuto il marchio Doc in etichetta per almeno dieci anni, può chiedere di essere inserito in un Disciplinare specifico che tutela il marchio Docg. La denominazione di origine controllata e garantita aggiunge valore in qualità al vino, perché più prestigiosa. Tra i prosecchi Doc solo alcuni sono diventati Docg: si tratta di quelli prodotti nelle zone Conegliano-Valdobbiadene ed Asolo. Per passare da Doc a Docg i vini devono superare analisi che insistono sulle caratteristiche organolettiche, con commissioni specifiche che controllano tutte le fasi di produzione del vino, fino all'imbottigliamento.
Nonostante l'indiscutibile qualità dei prosecchi Doc, la denominazione Docg offre qualcosa in più, e di questo si tiene conto anche nelle vendite. Basti pensare che il rapporto tra Doc e Docg è del 18%: questo significa che solo 18 bottiglie su 100 di Prosecco Doc diventano Docg. La differenza la si nota anche al palato: poiché il Prosecco Docg è il frutto di coltivazioni effettuate su terreni molto ricchi, minerali e argillosi, il suo sapore è molto sfaccettato, e pieno di sentori aromatici rispetto ad un “semplice” Doc. Ciò è dovuto anche alla maggiore e migliore esposizione al sole dei terreni, che quindi impediscono la formazione di muffe.
Va da sé che un vino Prosecco Docg costerà molto di più, e ciò viene giustificato anche dal tipo di coltivazione, molto più faticosa. Tra le zone di Conegliano e Valdobbiadene non si lavora mai con i trattori, ad esempio, per cui invece di 150 ore che servono normalmente per lavorare una vigna, ce ne vogliono circa 600, poiché si lavora tutto a mano, sotto le intemperie, vento, sole o pioggia che sia.
Per
tutelare meglio i prodotti italiani e la loro provenienza, già da
tempo vengono apposti dei marchi su particolari alimenti o bevande.
Marchi che sono l'Igp (Indicazione geografica protetta), la Doc
(Denominazione di origine controllata), la Dop (Denominazione di
origine protetta) e Docg (Denominazione di origine controllata e
garantita). Questi
marchi possono essere attribuiti a dei prodotti seguendo delle regole
ben precise, che
vengono a trovarsi nei cosiddetti “Disciplinari”.
Un disciplinare può essere quindi equiparato ad una vera e propria legge, e se si contravviene a questa legge si è sottoposti a delle sanzioni. Anche i vini possiedono dei loro disciplinari e, nello specifico, anche il Prosecco. Vediamo allora in cosa consiste il disciplinare del Prosecco e quali caratteristiche tutela.
A creare un Disciplinare per determinati prodotti sono i cosiddetti consorzi di tutela. Per il Prosecco il Consorzio in questione è quello di tutela della denominazione. La denominazione “Prosecco Doc” si applica, ad esempio, solo a vini bollicine che vengono dalle regioni Veneto e Friuli Venezia Giulia. In particolare dalle province di Belluno, Padova, Treviso, Venezia, Vicenza per il Veneto, e Gorizia, Pordenone, Trieste e Udine per il Friuli. Le tipologie del Prosecco Doc sono quelle del “Prosecco Tranquillo”, “Prosecco Spumante” e “Prosecco Frizzante”. Il vino deve essere sempre ottenuto da uve di vitigno Glera, mentre solo un 15% al massimo di esso può risultare proveniente da vitigni come Verdisio, Bianchetta Trevigiana, Perera, Glera lunga, Chardonnay, Pinot bianco, Pinot grigio e Pinot nero.
Per quanto riguarda la gradazione alcolica, invece, deve attestarsi intorno ad un minimo di 10,5% vol. per il Tranquillo e per il Frizzante, con un colore giallo paglierino ed un odore tipico delle uve di provenienza, mentre il sapore dovrà risultare fresco, da amabile a secco. Per il Prosecco Spumante invece il minimo alcolico fissato è intorno agli 11 gradi, il colore dovrà essere sempre giallo paglierino, ma più intenso e brillante rispetto al Prosecco tranquillo, la spuma dovrà risultare persistente e l'odore fine e caratteristico. Il sapore dello Spumante viene invece classificato dal Disciplinare da brut nature (cioè zero zuccheri) fino a demi-sec (Dry).
Un vino Prosecco Doc può essere commercializzato solo in bottiglie scure di vetro, chiuse con tappo raso bocca. Per le bottiglie più piccole (fino a 375 ml) viene ammesso anche il tappo a vite. Per il Prosecco Spumante, invece vengono seguite le norme dell'Ue, che prevedono l'uso di tappi in sughero con percentuale non inferiore al 51%. Anche in questo caso, per le bottiglie più piccole (fino a 200 ml) viene consentito il tappo a vite, insieme con un sovratappo a fungo oppure in plastica. In etichetta possono essere riportate (ma non è obbligatorio) l'annata di produzione e la zona, intesa come regione e provincia di provenienza dei vitigni.
La denominazione Doc per il Prosecco è arrivata solo nel 2009, dopo un lunghissimo e complicato percorso politico, economico e burocratico. Tutto nasce negli anni ’70 del Novecento, quando la domanda di questo vino particolare ha cominciato a diventare sempre più massiccia nel mondo, e ha reso necessario tutelare il nome del prodotto. A questo proposito occorre dire che già nel 1977 il Prosecco fu inserito nell’elenco dei “Vini da tavola a indicazione geografica”. L’ulteriore miglioramento della qualità negli ultimi decenni e la necessità di una maggiore tutela del nome a livello internazionale, hanno portato nel 2009 ad ottenere il riconoscimento della denominazione di origine controllata «Prosecco» (decreto ministeriale 17 luglio 2009). Il Disciplinare al suo interno prevede anche due Docg, per le zone “Conegliano Valdobbiadene” e “Colli Asolani” o “Asolo”. Il Discliplinare ha subìto recentemente (nel 2019) delle modifiche, che ne hanno corretto alcuni passi e articoli.
Una caratteristica tipica distintiva degli spumanti – e chiaramente anche dei vini Prosecco - riguarda il grado zuccherino. Stiamo parlando della dicitura Dry, extra Dry, Brut ed Extra Brut che si legge sul fronte delle etichette. Chi ha iniziato da poco a capirci qualcosa di vini, spesso non sa come districarsi tra tutte queste informazioni. Proviamo allora a fare chiarezza su queste definizioni.
Nell'articolo dedicato alla produzione del Prosecco abbiamo visto come la quantità di lieviti e zuccheri sia differente secondo il metodo di preparazione: il residuo zuccherino che si ritrova nel prodotto finito è dunque il parametro discriminante per distinguere un vino dry, extra dry, brut o extra brut.
Eh si, lo sappiamo: ci cascano in molti. Il termine “dry” porta i più a pensare che si avrebbe a che fare con un vino poco dolce, in quanto secco. E invece il Dry o Sec sta a indicare un residuo zuccherino che si attesta tra i 17 e i 32 grammi per ogni litro di vino. Si tratta perciò di un vino dolce, spesso fruttato con sentori di pesca e mela verde, perfetto per accostamenti con frutta e piccola pasticceria o in alternativa come contrasto a piatti estremamente piccanti o speziati.
Nonostante la dicitura in inglese "Extra Dry" significhi "molto secco", in realtà questa tipologia di spumante è solamente meno dolce di un Dry, ma certamente più amabile di un Brut. Il residuo zuccherino qui si presenta infatti tra i 12 e i 17 grammi per litro. E' lui, comunque, il protagonista assoluto degli aperitivi, dal momento che il suo gusto si sposa molto bene con i formaggi, gli stuzzichini, ma anche per un pasto leggero a base di carni bianche o crostacei.
Quando il residuo zuccherino scende ancora, e si attesta sotto i 12 grammi per litro (di solito tra i 5 e i 12 grammi di zucchero), allora ci troviamo di fronte ad un Prosecco di tipologia Brut. Si tratta di uno spumante dal gusto molto intenso e che comincia a diventare davvero più secco al palato. Il Brut, perciò, lo si sceglie non per gli aperitivi, ma per il pasto. Questo fatto vi stupisce? Beh, in realtà sia certi primi piatti che secondi o contorni possono essere accompagnati da un Prosecco Brut. Un primo piatto di pesce (un risotto ai frutti di mare, ad esempio), dei secondi di pollame o ancora di pesce, ma anche verdure grigliate, o formaggi fino alla media stagionatura. C'è anche chi beve Prosecco Brut sulla frittura di pesce, assicurando che sia perfetto come bilanciamento del gusto del piatto in oggetto.
Quello che si è detto per la tipologia Brut vale ancora di più per gli Extra Brut: un vino Prosecco dal residuo zuccherino davvero basso (da 0 a 5 grammi per litro), secco, asciutto e frizzante al punto giusto, ottimo come accompagnamento a tutto pasto. Via libera, dunque, ai piatti a base di molluschi, siano essi primi o secondi, e a contorni di ortaggi e verdure. Bene anche sui formaggi non troppo stagionati. Sconsigliati, infine, sui dolci o in generale in accompagnamento ai dessert. Una parentesi va qui dedicata alla tipologia Brut Nature, che rientra nell'Extra Brut fino ad un residuo zuccherino di 3 grammi per litro. Questi Prosecchi (ma anche certi Champagne) vengono detti Pas Dosé (o dosaggio Zero), in riferimento proprio alla quasi totale assenza di zucchero. Anche in questo caso gli abbinamenti più indicati riguardano i piatti di pesce, o quelli molto salati, o ancora i formaggi dalla consistenza "lattosa".
Quello di diventare sommelier è un sogno che oggi hanno nel cassetto sempre più persone. Spesso si tratta di chi nutre già una passione per il vino o di chi possiede piccole esperienze nel settore e vorrebbe specializzarsi, magari come intenditore di bollicine, tra prosecchi o champagne francesi. A volte però ci sono anche persone che sono dei semplici appassionati e vogliono saperne di più sull'argomento. Il problema è che spesso non ci si riesce ad orientare, tra le molte proposte sul mercato di corsi, non sempre qualificati e qualificanti. Oggi cerchiamo di darti qualche dritta utile in tal senso, se stai pensando di diventare sommelier.
Se hai intenzione di intraprendere un percorso di formazione per sommelier evidentemente già sai di cosa si occupa questa speciale figura professionale. Un sommelier è colui che conosce alla perfezione i vini o particolari tipi di vino: individua immediatamente aromi, gusti, sentori, annate, e li abbina a determinati piatti. Questo tipo di consigli non è rivolto solo ai clienti, ma anche a proprietari di ristoranti, servizi di ristorazione in villaggi turistici, su navi da crociera, etc. Oltre a qualità di sensibilità innate il futuro sommelier deve perciò padroneggiare molto bene le metodiche di avvicinamento e conoscenza di un vino, anche attraverso strumentazione tecnica (uso dei termometri, del tastevin, decanter, frangino, cavatappi e così via). Deve inoltre conoscere una o più lingue straniere, visto che il settore del vino diventa ogni giorno più internazionale. Trovare un lavoro molto remunerativo come sommelier (come del resto capita per moltissime professioni o mestieri) non è immediato, ma occorrono anni di perfezionamento e gavetta. Un sommelier può lavorare sia come libero professionista, in qualità di consulente, sia come dipendente. Molti sono gli ambiti in cui può impiegarsi: dai ristoranti alle strutture ricettive come i resort, dalle navi da crociera alle fiere dedicate all'enologia, fino alla Gdo, le catene di grande distribuzione organizzata. Per quanto riguarda i guadagni si può partire dagli 800-1000-1500 euro al mese, quando si è agli inizi, fino ad arrivare, con l'esperienza ed il maggior prestigio acquisito a 4 mila euro al mese (ristoranti stellati, strutture deluxe, etc.).
Prima di elencarti i corsi che sono i più attendibili in questa professione, è bene chiarire che in giro ci sono tantissimi corsi per sommelier, fruibili anche solo online, che quasi “distribuiscono” attestati a fronte di un pagamento. Il consiglio è di stare lontani da questo tipo di approcci formativi per i sommelier (eccettuato, ovviamente, il periodo di lockdown per Coronavirus) e di dedicarsi a corsi che prevedono un impegno a 360 gradi, anche di tipo frontale. È importante, perciò, scegliere sempre corsi certificati, messi a disposizione da enti con anni di esperienza e prestigio nel settore. I corsi migliori durano anni, e constano di tre livelli, ognuno di un anno e con delle specifiche tematiche da affrontare e in cui specializzarsi. Al termine del percorso di formazione professionale, si deve sostenere un esame, come accade per i master di tipo universitario. I costi non sono economici, ma vanno considerati come un investimento per la carriera futura. Tra gli enti che organizzano corsi seri e accreditati va senza dubbio citata l'AIS (Associazione Italiana Sommelier). Vi sono poi i corsi dell'ASPI (Associazione Sommellerie Professionale Italiana), di BIBENDA (Federazione Italiana Sommelier) e di FISAR (Federazione Italiana Sommelier Albergatori Ristoratori). Ognuno di questi percorsi professionali è in grado di fornire una formazione davvero completa e adeguata in Italia. Se invece si preferisce un percorso di tipo internazionale si possono frequentare i corsi tenuti dalla WSET, Wine and Spirit Education Trust.
Il Prosecco è tra le bollicine più consumate in Italia e nel mondo. Perfetto come aperitivo, si sposa benissimo anche con pietanze fresche ed appetitose tanto che c'è anche chi non lo disdegna con i dolci! In estate, poi, è una vera delizia. Ma come nasce il Prosecco, quali sono le sue origini e perché si chiama proprio così? Vediamolo insieme.
Sembra che le origini del vino Prosecco, con il nome con cui lo conosciamo oggi, risalgano alla fine del '500, quando per la prima volta allo spumante viene dato questo appellativo. In particolare la definizione viene data al castellum nobile vino Pucinum, identificato con il castello di Prosecco, un comune friulano in provincia di Trieste. Il vino “Pucinum”, cioè Puccino, secondo alcune testimonianze scritte dell'epoca, era estremamente gradito già al tempo dei Romani (tanto che ne parla anche Plinio il Vecchio nella sua Naturalis Historia e sembra fosse il vino preferito dell'imperatrice Livia, moglie di Augusto). Successivamente, tra la fine del '700 e gli inizi dell'800, il vitigno di Prosecco si allarga dalla fascia friulana fino a quella collinare veneta. Una curiosità: il termine “Prosecco” così come lo conosciamo riferito al vino, appare per la prima volta proprio in questo periodo, nel 1754, in un poemetto, “Il Roccolo Ditirambo”, scritto da Valeriano Canati.
Ai primi dell'800 Francesco Maria Malvolti, un viticoltore interessato allo sviluppo dei vini frizzanti, già faceva notare in un discorso all'Accademia di Conegliano “quanto fossero interessanti e squisiti i loro Prosecchi” (li citava insieme ai Bianchetti e ai Moscatelli).
Successivamente, nel 1868 Antonio Carpené fa rientrare anche Malvolti nella società da lui fondata (Società Enologica Trevigiana) nella produzione di Prosecco. È forse da questa data che il Prosecco inizia ad essere conosciuto, promosso ed apprezzato come vino nel senso moderno e come lo conosciamo attualmente. Carpené e Malvolti fondarono poi anche la Scuola Enologica, all'interno della quale nacque il famoso metodo della spumantizzazione Conegliano-Valdobbiadene: una sorta di metodo Charmat, con vino rifermentato insieme a lieviti autoctoni e zuccheri per almeno un mese in autoclave. Forse non tutti sanno che esiste una differenza sostanziale tra i diversi tipi di Prosecco. C'è quello meno alcolico, che è il Prosecco frizzante, che non supera mai il 9% di vol. C'è poi quello detto “tranquillo”, che presenta una gradazione alcolica compresa sempre entro i 10,5% di vol. Infine, il Prosecco Spumante, che parte da un minimo di 11% di vol., dunque il più alcolico fra tutti.
Negli anni '60 del '900 (1966, per la precisione) viene creata la prima strada italiana del vino: la strada del Prosecco. Si tratta di un itinerario lungo tutti i vitigni di Conegliano-Valdobbiadene, che ancora oggi resta una meta imprescindibile per gli amanti delle bollicine, poi divenuto anche primo Distretto Spumantistico in Italia. Il riconoscimento più alto del Prosecco come vino lo si è avuto nell'agosto del 2009, quando la famosa bollicina di Conegliano Valdobbiadene ha ottenuto la DOCG, Denominazione di Origine Controllata e Garantita. Già trent'anni prima, nel 1969, era arrivato il riconoscimento della DOC per il Prosecco prodotto nello stesso perimetro di territorio. Sempre nel 2009, va detto, tutta la produzione di Prosecco nelle nove province tra Trieste e Vicenza, viene insignita del marchio DOC. Questo vino è stato premiato anche dai consumatori, attraverso le vendite. Tra gli anni 2005 e 2010 è cominciata infatti una crescita esponenziale del consumo di Prosecco, tanto che nel 2013 per la prima volta la sua vendita ha superato nel mondo quella dello Champagne francese.
In un altro post di questo blog abbiamo parlato dei metodi più conosciuti per la “lavorazione” e la spumantizzazione dei vini bollicine, in particolare del Prosecco: il Classico o Champenoise e lo Charmat (Martinotti). Esiste però un metodo molto più antico, il primo in assoluto nella storia dedicato ai vini frizzanti, completamente naturale: il metodo ancestrale. Vediamo, pertanto, in cosa consiste il metodo ancestrale e che differenze ci sono rispetto al metodo Charmat e al metodo Classico. La caratteristica principale del metodo ancestrale è quello di non utilizzare alcuna sostanza estranea al vino e ai prodotti della terra, men che meno ritrovati chimici. Possiamo dire che si tratta di una via di mezzo rispetto agli altri due metodi, anche se forse si avvicina di più allo champenoise (o classico) rispetto ad uno Charmat/Martinotti. Vediamo allora nello specifico in cosa consiste il metodo ancestrale e qual è la sua storia.
Per prima cosa un vino fermentato con metodo ancestrale parte da una pressatura leggera delle uve, per consentire che i lieviti presenti naturalmente nelle bucce degli acini (“lieviti indigeni o autoctoni”) possano estendersi a tutto ciò che viene ricavato. Il mosto ottenuto, viene inserito in vasche di acciaio inox a temperature costantemente controllate, spesso molto basse. A questo punto la fermentazione viene gradualmente rallentata fino ad essere bloccata del tutto: lo stop viene deciso quando il vino raggiunge una certa quantità di zuccheri e lieviti, che garantiranno una ripresa di una fermentazione tutta naturale una volta trasferito il vino in bottiglia.
Una volta trasferito in bottiglia (di solito questo procedimento avviene con una temperatura piuttosto mite, intorno al mese di aprile) il vino riprende la sua naturale fermentazione, garantendo un giusto equilibrio di zuccheri e lieviti: avviene così la cosiddetta rifermentazione. Alla fine il vino può essere capovolto, etichettato e messo in commercio. Se lo si agita i lieviti rivivono e ritornano in sospensione. Per questo motivo il sapore di uno spumante metodo ancestrale risulta più complesso e corposo, e ricorda il pane, in special modo la sua crosta. Questi vini vengono definiti anche “col fondo”.
Le origini del metodo ancestrale in fermentazione, sembra risalgano a diversi secoli fa in Francia, addirittura prima dello Champagne. A voler essere pignoli potremmo ricondurre gli albori di questo metodo agli antichi Romani (con il cosiddetto “vino titillans”, cioè frizzante) che lasciavano fermentare il mosto due volte nelle anfore. Nei secoli successivi questo metodo venne adoperato per prima sui vini spumanti della regione Limoux (come l'Aoc Blanquette), già nel XVI secolo, e fu poi utilizzato anche per i vini Champagne. Oggi i vini così prodotti vengono definiti “petillant naturelle”. In Italia i vini spumanti prodotti con metodo ancestrale si concentrano soprattutto in Emilia Romagna o Toscana, ma non mancano gli ottimi vini bianchi dell’Alta Marca Trevigiana fermentati in maniera ancestrale.